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Assenteismo: medici del 118 arrestati, erano a casa durante il turno

Professione Redazione DottNet | 13/02/2017 18:36

A Bologna medico deve restituire 320mila euro per doppio lavoro

Risultavano presenti in turno anche di notte, pronti a prestare la loro opera nei servizi di emergenza sanitaria. In realtà erano nelle loro abitazioni, quando addirittura non sono stati scoperti dagli investigatori in altri luoghi, lontani dalla sede di lavoro, dove trascorrevano piacevolmente le loro serate. Ma questa volta per i furbetti del cartellino, due medici del 118 di Letojanni, si sono aperte direttamente le porte del carcere. La polizia li ha arrestati con le accuse di truffa e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici.

Si tratta di Antonino Ferlito, 51 anni, e Antonino Corica, 53. Nei loro confronti è stata eseguita dagli agenti del commissariato di Taormina un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Messina, Salvatore Mastroeni, su richiesta del Sostituto Procuratore di Messina Anna Maria Arena.

L'indagine è andata avanti per circa due anni, dal 2014 fino all'agosto del 2016, e ha riservato non poche sorprese. Il lavoro svolto dagli investigatori attraverso servizi di osservazione, con telecamere nascoste nella sede di lavoro, acquisizioni di copie dei registri di presenza, intercettazioni telefoniche e attività di analisi dei tabulati delle utenze telefoniche ha permesso di smascherare "una sistematicità di spudorate assenze dei due medici dal posto di lavoro - scrive la polizia - in contrasto con le firme presenza apposte sui registri".

Insomma, i due medici sarebbero stati dei veri e propri stakanovisti ma solo nel certificare falsamente la loro presenza in turno coprendosi a vicenda. Ben 40 gli episodi accertati in capo a un medico, 36 quelli attribuibili all'altro. Non basta. Nei confronti di quei colleghi di lavoro che avevano cominciato a lamentarsi per le troppe assenze i due medici, sostengono gli inquirenti, avrebbero risposto con un atteggiamento arrogante e di aperta sfida. Per il Gip di Messina che ha firmato l'ordinanza di custodia cautelare, ce n'era abbastanza non solo per spedire in galera i due sanitari "infedeli" ma anche per presentare loro il "conto" delle loro presunte malefatte. Il giudice ha disposto infatti nei confronti degli indagati il sequestro preventivo per equivalente delle somme di denaro che sarebbero state indebitamente percepite per prestazioni di lavoro mai prestate: 16 mila euro per uno dei due medici e quasi 15 mila euro per l'altro.

E a Bologna un altro medico è finito sotto la scure della Corte dei Conti perché dal 2009 al 2013 ha lavorato come medico dell'emergenza territoriale dell'Ausl di Piacenza, pur essendo allo stesso tempo dipendente del Comune di Bologna. Con questo doppio lavoro, ha violato il dovere di esclusività e la Corte dei Conti dell'Emilia-Romagna, accogliendo la richiesta della Procura contabile, ha condannato un 65enne, G.R., al risarcimento di 323mila euro all'Azienda sanitaria piacentina, cioé i compensi ricevuti nel periodo in esame, e di 25mila euro al Comune di Bologna, per giornate di retribuzione non dovuta.

Nei confronti del medico anche la Procura di Piacenza ha aperto un'indagine per truffa e falso ideologico. Dipendente comunale a Bologna dal 1979 al 2013, dal 2000 era passato ad un part time per fare il medico in libera professione. Dal 2009 ha avuto però un incarico annuale dall'Ausl, prorogato fino al 2012 e in questo periodo, per i giudici, ha intenzionalmente violato le norme sull'incompatibilità per i medici titolari di rapporti convenzionali col Servizio sanitario.

Nella sentenza della Corte (presidente Donato Maria Fino, consigliere relatore Massimo Chirieleison) si osserva infatti che nel momento in cui ha assunto l'incarico di medico dell'emergenza territoriale a Piacenza, ha omesso di dichiarare all'Ausl "la decisiva circostanza di essere nel contempo dipendente dell'amministrazione comunale". Dichiarando di non essere titolare di alcun rapporto di lavoro dipendente, avrebbe dissimulato "una condizione di incompatibilità assoluta che di per sé gli avrebbe precluso l'affidamento dell'incarico". La sua, dunque, è stata "una condotta fraudolenta protratta nel tempo" che ha indotto in errore l'Ausl e ha procurato al medico un ingiusto profitto.

L'attività svolta "configura - sottolineano i giudici in un altro passaggio - un vero e proprio rapporto di lavoro pubblico, ancorché a tempo determinato, di natura convenzionale e a contenuto medico-professionale. Lo status di dipendente pubblico, ancorché a tempo parziale (18 ore settimanali, ndr) impediva all'interessato di instaurare un valido rapporto convenzionale con l'Ausl". Oltre alle somme percepite dall'Ausl deve risarcire il Comune di Bologna perché dalle timbrature è emerso che "mentre prestava la propria attività professionale" a Piacenza, "risultava assente per motivi vari dal Comune di Bologna, con conseguente fruizione di retribuzione non dovuta". Le indagini sono state fatte dalla Guardia di Finanza.

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