Aborto: Strasburgo bacchetta l'Italia: viola i diritti delle donne. I medici sono discriminati, Lorenzin: i dati sono vecchi, oggi è tutto diverso
Il tema dell'applicazione della legge sull'aborto in Italia torna periodicamente alla ribalta con due visioni opposte del fenomeno, anche se per il ministro Lorenzin le criticità sono poche e la sentenza si riferisce a dati vecchi. Secondo la relazione periodica del ministero della Salute nel 2014 i non obiettori hanno effettuato 1,6 aborti a testa a settimana, un numero stabile negli ultimi anni (erano 1,7 nel 2011).
Gli obiettori tra i ginecologi sono circa il 70%, anche in questo caso un dato stabile (Erano al 69.3% nel 2010 e 2011, al 69.6% nel 2012 e al 70.0% nel 2013. "Il numero di (medici) non obiettori risulta quindi congruo, anche a livello sub-regionale, rispetto alle interruzioni effettuate - conclude il documento - e non dovrebbe creare problemi nel soddisfare la domanda". Tutt'altra visione quella di Silvana Agatone, presidente di Laiga (Libera Associazione Italiana Ginecologi per l'applicazione della legge 194/78) "Nella maggior parte degli ospedali i primari sono obiettori, e solo alcuni fanno rispettare comunque la legge.- afferma Agatone -. Anche l'ambiente culturale non facilita il tutto, talvolta si fa un uso spropositato dell'obiezione. Recentemente dei colleghi stavano facendo interventi e il personale si è rifiutato di lavare i ferri chirurgici, il collega ha dovuto sterilizzarli e continuare da solo. In altri ospedali portantini si rifiutano di portare le pazienti, o manca l'anestesista. Molti colleghi che fanno aborti dopo i 90 giorni, quindi per motivi medici, vengono puntualmente denunciati".
Agatone contesta i numeri forniti dal ministero. "Solo nel Lazio secondo un nostro studio gli obiettori sono il 91,3% - spiega -, ma ci sono regioni che stanno peggio come le Marche, la Sicilia e la Calabria". Non è d'accordo con le conclusioni del Consiglio d'Europa neanche Vito Trojano, presidente Associazione Ostetrici Ginecologi Italiani (AOGOI). "Ad oggi i dati concreti ci dicono che le interruzioni di gravidanza hanno su tutto il territorio nazionale una distribuzione accettabile, anche se non ottimale. Come per i punti nascita anche per i centri che fanno interruzioni ci deve essere un accentramento, questo risolverebbe i problemi"
Insomma, dopo quasi 40 anni dalla sua entrata in vigore, la legge 194 che regola in Italia l'interruzione di gravidanza non riesce a garantire a tutte le donne che lo desiderino o vi siano costrette di poter abortire in una struttura pubblica senza dover viaggiare per l'Italia o all'estero per farlo. A puntare il dito sulla cattiva applicazione della legge 194 e sulla conseguente violazione del diritto alla salute delle donne - ma anche sulla penalizzazione e discriminazione del personale medico che non ha optato per l'obiezione di coscienza - è il comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d'Europa con una decisione sul reclamo presentato dalla Cgil.
Una decisione che ha stupito il ministro della salute Beatrice Lorenzin. "Mi riservo di approfondire con i miei uffici, ma sono molto stupita perché dalle prime cose che ho letto mi sembra si rifacciano a dati vecchi che risalgono al 2013. Il dato di oggi è diverso", ha detto il ministro. "Non c'è alcuna violazione del diritto alla salute". La decisione è stata invece definita una "vittoria per le donne e per i medici, ma anche per l'Italia" da Susanna Camusso, segretario generale della Cgil. Il sindacato e il ministero della salute si sono confrontati per tre anni sulla questione dell'applicazione della legge 194 con l'invio di documenti e dati al comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d'Europa, davanti al quale si sono affrontati per l'ultima volta il 7 settembre scorso in un faccia a faccia durante un'udienza pubblica a Strasburgo.
Ed è valutando tutte le 'prove' che la Cgil e il ministero hanno presentato che il comitato è arrivato a concludere che l'Italia sta violando il diritto delle donne alla salute e discriminando il personale medico che ha scelto di non fare obiezione di coscienza e garantire così gli interventi di interruzione di gravidanza. Per quanto riguarda l'accesso all'aborto il comitato, nelle sue conclusioni, osserva che questo non è garantito a tutte le donne, lo stesso giudizio che aveva già espresso nel 2014 nella decisione sul ricorso dell'ong Ippf-en. Tra gli elementi che rendono "notevolmente difficile" alle donne ricorrere all'interruzione di gravidanza c'è la diminuzione sul territorio nazionale del numero di strutture dove si può abortire, ma anche la mancata sostituzione del personale medico che garantisce il servizio quando un'operatore è malato, in vacanza o va in pensione.
Per il comitato, il governo "non ha fornito sufficienti informazioni" per confutare le affermazioni fatte dalla Cgil. L'organismo del Consiglio d'Europa sottolinea inoltre che le misure adottate sinora dal governo, dalle regioni e dalle strutture sanitarie per far fronte alla situazione sono inadeguate a risolvere il problema. Ed anche che la Cgil ha fornito un ampio numero di prove che dimostrano come il personale medico non obiettore sia discriminato e vittima di svantaggi diretti e indiretti in termini di carico di lavoro, distribuzione degli incarichi e opportunità di carriera.
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