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Tfr nello stipendio mensile: al medico non conviene, ecco perché

Professione Redazione DottNet | 13/07/2015 10:45

Dal primo marzo scorso e fino al 30 giugno 2018 il Trattamento di Fine Rapporto può diventare un ulteriore elemento della retribuzione mensile. Ma vediamo se per i medici l'operazione è vantaggiosa e in quali termini.

Il comma 26 dell’art. 1 della legge 190/2014 (Legge di Stabilità 2015) ha infatti introdotto, in via sperimentale, per il periodo marzo 2015 – giugno 2018, la possibilità, riservata ai soli lavoratori del settore privato, di richiedere al proprio datore di lavoro la liquidazione mensile in busta paga dell’importo che si sarebbe maturato a titolo di Tfr.


 

Con riferimento al personale sanitario, questa possibilità, dunque, non può essere esercitata dai dipendenti ospedalieri (che sono dipendenti pubblici), ma soltanto dai dipendenti di strutture sanitarie private (case di cura, RSA, società mediche, ecc.). Questa possibilità è anche esclusa per i medici e gli odontoiatri liberi professionisti e per i convenzionati iscritti all’Enpam, nonché per gli specialisti ambulatoriali, che, pur godendo di un accantonamento simile (il cosiddetto premio di operosità), non hanno un Tfr vero e proprio.


 

Requisito per la domanda (da presentare direttamente all’azienda presso cui si lavora) è il possesso di 6 mesi di anzianità lavorativa presso il datore che deve erogare la somma. L’opzione in favore della liquidazione mensile, una volta effettuata, non potrà più essere modificata fino al 30 giugno 2018. La scelta può essere effettuata non soltanto dai neo assunti, ma da tutti i lavoratori dell’azienda, anche quelli che avevano optato per la destinazione del Tfr alla previdenza complementare.


 

Quali le caratteristiche di questo ulteriore elemento retributivo? Intanto su questa eventuale quota di stipendio non si pagano contributi (come del resto non si pagano neppure sul Tfr vero e proprio); la tassazione cui viene assoggettata è quella ordinaria, in quanto mera retribuzione, disciplinata dall’art. 51 del Testo Unico delle Imposte Dirette.


 

E proprio qui stanno le dolenti note: secondo le simulazioni effettuate, proprio per effetto del sistema di tassazione, la scelta di aggiungere il Tfr alla retribuzione mensile è premiante soltanto per coloro che hanno un reddito annuo inferiore ai 15.000 euro, mentre tutti gli altri (verosimilmente la maggioranza) pagheranno molte più tasse di quante ne subirebbero percependo il Tfr alla fine della loro attività. Ciò perché il Trattamento di Fine Rapporto gode di un regime di tassazione separata, che consente un sensibile risparmio fiscale.


 

Insomma, se non si hanno impellenti esigenze economiche, è meglio lasciare le cose come stanno: così almeno, secondo un recente sondaggio, la penserebbero circa l’85% deli lavoratori potenzialmente interessati. Oltretutto, per fare fronte alle esigenze del quotidiano, di fatto in questo modo si sacrificano i risparmi futuri oppure (per quanti hanno scelto di aderire alla previdenza complementare) si diminuisce l’importo delle pensioni integrative. Per un lavoratore con un netto di circa € 1.500 mensili, è stato stimato che, a fronte di un lordo aggiuntivo di circa 130 euro, potrebbero percepirsi circa 90 euro mensili in più; questo però provocherebbe una riduzione della liquidazione di oltre 5.000 euro, ovvero una contrazione della pensione integrativa di circa 40 euro.


 

Fonte: interna

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