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Linee guida e responsabilità sanitaria dopo la legge Balduzzi

Professione Fiammetta Trallo | 17/02/2015 10:18

Pubblicato sul Bollettino Notiziario dell’ODM di Bologna, N 1, gennaio 2015 (sintesi).

La necessità di documentare il proprio operato per poter accedere all’accreditamento o ad altri protocolli di verifica della qualità (per es. ISO 9001), nonché l’impulso speculativo ed operativo data dalla cosiddetta evidence-based medicine, che dà ampio risalto ai dati basati su una congrua evidenza scientifica, hanno determinato la proliferazione all’interno delle unità operative e dei dipartimenti sanitari di protocolli, procedure e linee-guida.

Per protocollo si intende uno strumento informativo che definisce un modello di comportamento professionale attraverso la descrizione di una successione di interventi, volti a raggiungere un determinato obiettivo. Le procedure sono strumenti di integrazione utili in situazioni complesse, che descrivono sequenze dettagliate e logiche di atti al fine di uniformarli e garantire così la qualità degli effetti risultanti.

Le linee-guida consistono in raccomandazioni di comportamento clinico in grado di orientare il personale sanitario nella scelta delle modalità di intervento e di assistenza più appropriati in specifiche circostanze cliniche. Sono il risultato di una revisione sistematica e di una sintesi critica delle informazioni scientifiche disponibili per orientare la pratica clinica quotidiana.

Le linee-guida sono, quindi, raccomandazioni di comportamento clinico, redatte grazie ad aggiornati processi di rielaborazione della letteratura scientifica, utili sia ai sanitari ad adottare le modalità di intervento più appropriate che ai pazienti a meglio comprendere il percorso di cura.

Possono avere valenza in situazioni semplici e standardizzate, dove i fattori che entrano in gioco sono poco numerosi e ben circoscrivibili. Ma la medicina è una disciplina complessa e quasi mai ci sono due ammalati perfettamente uguali. Il compito del medico è anche quello di valutare ciò che nel caso particolare differisce dalla regola comune.

La giurisprudenza da tempo ha avvertito la necessità di fare ordine fra le diverse e disomogenee decisioni, e il legislatore è intervenuto con la legge 8 novembre 2012, n. 189, con modificazioni del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, meglio conosciuto come decreto Balduzzi.

All’art. 3, comma 1, la legge n. 189/2012 stabilisce: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. Resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile (responsabilità extracontrattuale). Il giudice anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta di cui al primo periodo”.

In sintonia con la giurisprudenza di Cassazione, fatte salve le eventuali indicazioni di legge o regolamenti tali da richiederne la scrupolosa applicazione, le indicazioni cliniche contenute in protocolli, procedure e linee guida non hanno un valore assolutamente vincolante per il medico (Cass. pen. sez. IV 2 marzo 2011, n. 8254; v. anche: Cass. IV sez. pen. 1 febbraio 2012, n. 4391).

Il medico può far valere quell’autonomia professionale che la legge gli riconosce e, quindi, dissentire. Meglio ancora: ove tali indicazioni siano errate, egli ha l’obbligo di dissentire.

E solo questa posizione garantisce la possibilità di impiegare prontamente le nuove conoscenze che si sviluppano rapidamente in campo scientifico, ben prima che queste siano sottoposte al vaglio che precede la loro inclusione in protocolli, procedure e linee guida.

Pertanto, va posto in evidenza come sia più problematico il riferimento dell’art. 3 della legge n. 189/2012 alla colpa lieve nel contesto penale, in genere non nominata nelle decisioni giurisprudenziali come tale, ma non estranea alla realtà dei casi.

La sentenza n. 16237/2013 afferma che “le linee guida non possono fornire indicazioni di valore assoluto ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale responsabilità, sia per la libertà di cura che caratterizza l’attività del medico, sia perché talvolta la stesura delle stesse può essere influenzata da motivazioni legate al contenimento dei costi sanitari o perché sono obiettivamente controverse e non unanimemente condivise. Il medico è sempre tenuto ad esercitare le proprie scelte considerando le circostanze peculiari che caratterizzano il caso concreto e la specifica situazione del paziente, nel rispetto della sua volontà, al di là delle regole cristallizzate nei protocolli medici”.

La sentenza riepiloga le decisioni della giurisprudenza penale. Esclusa qualsiasi rilevanza in ambito penale dell’art. 2236 cod. civ. (“se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave”) la colpa professionale era valutata sempre e comunque sulla base delle regole generali della colpa ai sensi dell’art. 43 cod. pen. Quindi, sia per colpa lieve che per colpa grave, la differenza concerneva solo l’entità della pena.

La Cassazione penale aveva già da tempo riconsiderato, con le sentenze del 21 giugno 2007, n.39592 e del 26 aprile 2011, n.16328, la speciale difficoltà, sganciandola dal riferimento all’art. 2236 codice civile, ma valorizzandone l’importanza ai fini del giudizio sulla colpa e introducendo al più convincente espressione di “specifica difficoltà”, chiaramente inerente le difficoltà relative al singolo caso, in cui possono insorgere non solo intrinseche difficoltà della prestazione sanitaria, specie in campo chirurgico, ma anche le condizioni di salute del paziente.

L’art. 3 della legge n. 189 del 2012, secondo le osservazioni contenute nella sentenza n. 16237 del 2013 (v. anche: Cass. pen. IV sez. n. 11493 del 2013) sembra inserirsi in un percorso già tracciato dalla giurisprudenza penale in tema di colpa medica, che testimonia un’importante apertura verso “la componente soggettiva” della colpa  rispetto alla predominante valutazione della componente oggettiva, atta dalla prevedibilità e dall’evitabilità dell’evento in base al parametro dell’homo eiusdem condicionis et professionis (il che, nella professione medica, significa il sanitario dotato di conoscenze medie).  

A questo punto, si pone il quesito se, alla luce dell’art. 3, comma 1, delle legge n. 189 del 2012, nel nostro ordinamento sia stata introdotta una parziale abrogazione delle fattispecie colpose commesse dagli esercenti le professioni sanitarie, allorquando essi abbiano seguito scrupolosamente le linee guida e le buone pratiche cliniche accreditate e possano, conseguentemente, invocare la colpa lieve come “favorevole parametro di valutazione della condotta professionale”.

Sembra di no. Non si può condannare il sanitario solo perché non ha ottemperato a determinati requisiti in assenza della dimostrazione che l’evento di reato è connesso con tale violazione e senza vagliare se le linee guida e le buone pratiche cliniche fossero sufficienti a prevenire ed evitare l’evento avverso, poi concretamente verificatosi: evento che, a sua volta, doveva essere prevedibile ed evitabile ex ante.

Né si può pensare che il legislatore abbia voluto introdurre le linee guida quali “regole cautelari”, sia perché ciò comporterebbe una deriva dei delitti di lesioni colpose (art. 590 c.p.) e di omicidio colposo (art. 589 c.p.) dall’illecito di evento a quello di pura condotta, sia perché la diversa genesi delle linee guida non consentirebbe di attribuire loro il ruolo di regole atte a prescrivere uno specifico comportamento per prevenire ed evitare un determinato evento.

In caso di inosservanza l’affermazione di responsabilità andrà esclusa anche dove, nell’interpretazione del contenuto delle linee guida, si registri la compresenza di valutazioni scientifiche e di valutazioni volte all’ottimizzazione delle risorse o, comunque, non possa del tutto azzerato, ma solo ragionevolmente contenuto, il rischio del verificarsi di eventi lesivi. In questi casi il legislatore per bilanciare gli interessi contrapposti ha esplicitamente inteso privilegiare le esigenze di tassatività e certezza a quelle del soddisfacimento di istanze di tutela. Per cui la natura cautelare delle linee-guida è direttamente proporzionale al loro grado di precisione e al livello di conformazione che esse pretendono.

Le linee guida che mirano a bilanciare coefficienti di rischio e riduzione della spesa non hanno natura cautelare in senso stretto perché prendono in considerazione esigenze economiche che, in via di principio, sono antagoniste rispetto alla massima finalità preventiva delle cautele. Per cui le linee guida che contemperano le migliori cautele disponibili con esigenze di natura eterogenea, quali il contenimento dei costi, costituiscono una categoria molto variegata. Ad una loro valutazione in astratto deve preferirsi un esame in concreto, che nei settori in cui vengono in gioco i beni fondamentali della persona tenga conto  dell’efficienza cautelare sul risparmio economico.

In conclusione, il raggio operativo della disciplina di favore, introdotta dall’art. 3, comma 1, legge n. 189 del 2012, riguarda il solo profilo della colpa medica per imperizia, ossia quello che si riferisce al mancato rispetto delle legge dell’arte nella prestazione sanitaria (v. Cass. pen. n. 16237 del 2013).

Restano fuori dalla modifica normativa, rimanendo assoggettati agli ordinari criteri di valutazione della colpa con conseguente rilevanza della stessa colpa lieve,  tutti i comportamenti sanitari contrassegnati da negligenza o da imprudenza, ossia da trascuratezza, disattenzione, omissione o ritardo, ovvero da superficialità e da c.d. temerarietà (la quale ricorre quando il medico si cimenti in prestazioni non rientranti nell’ambito del proprio settore di competenza specialistica), nonché le stesse condotte connotate da imperizia ogni volta in cui il sanitario non si sia attenuto a prescrizioni o indicazioni (linee guida e buone pratiche) della comunità scientifica.

Dott. Vincenzo Castiglione, Magistrato

Commento della scrivente – Pur non rinnegando l’utilità delle linee guida, personalmente ritengo che nell’esercizio della professione medica l’esperienza professionale sia inprescindibile da qualsiasi norma dettata.

Le linee-guida sono uno strumento utile in particolari circostanze, e più precisamente nelle situazioni più semplici, anche perchè non possono contemplare tutto lo scibile della medicina.

Il loro vero pericolo può essere quello di trasformare la medicina razionale applicata secondo scienza e coscienza in una semplice e piatta ripetizione e/o applicazione di ricette stilate da altri. Se usate con i paraocchi le linee-guida potrebbero indurre soprattutto i giovani colleghi ad affrontare meno razionalmente i problemi clinici.

E’ pur vero però, che anche quando la linea guida sia criticabile per il suo scarso aggiornamento, il percorso argomentativo utilizzato dal medico che se ne sia consapevolmente discostato, deve comunque essere in grado di superare il vaglio di una valutazione medico-legale, di solito sempre aggiornata.

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