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Pensioni, le eccezioni per i medici Ssn. Le novità di Poletti

Professione Redazione DottNet | 14/07/2014 14:04

Si lavora sulle pensioni: il governo Renzi attraverso il ministro Poletti intende riformare il settore tutelando esodati e anziani disoccupati. Intanto una circolare chiarisce le posizioni dei medici del Servizio Sanitario Nazionale. Ma ci sono anche le proposte delle Regioni che vanno in un altro senso

 

Ci sono le prime indiscrezioni sulle proposte avanzate sul fronte flessibilità: dalla commissione Lavoro della Camera, guidata da Cesare Damiano (Pd), arriva il ritorno al sistema delle quote o la possibilità di andare in pensione a 62 anni, con 35 anni di contributi e con una penalizzazione dell'8%. C'è invece chi suggerisce il prestito previdenziale, emerso già sotto il governo Letta: si esce un po' prima con una assegno anticipato che verrà restituito man mano. Con tutta probabilità in sede di Legge di Stabilità si farà anche un punto sulla situazione.

 

Per i medici c'è comunque un'eccezione: come si ricorderà la legge 90/2014 impedisce al dipendente della pubblica amministrazione di restare in servizio oltre i limiti d'età; ma l’Inps-ex Inpdap ha emanato una circolare che di fatto distingue i medici dal resto degli amministrativi consentendo anche ai responsabili di struttura complessa di pensionarsi - maturati i contributi - entro i 70 anni. Unica condizione: il trattenimento non deve implicare un aumento dei dirigenti in servizio. 

 

La sentenza 33 del 6 febbraio scorso della Corte Costituzionale aveva imposto il limite dei 70 anni; il legislatore aveva anche chiarito che per tutti gli italiani l’anzianità contributiva si è elevata dai 40 anni di servizio effettivo previsti dalla legge 183/2011 agli attuali 42 anni e 3 mesi previsti per i contribuenti e 41 anni e 3 mesi per le contribuenti. La Consulta, dunque, conferma la legge 183 del 2011 che per il pensionamento d’ufficio impone il compimento dell'anzianità di servizio in termini di contributi effettivi. Nel dettaglio, la 183 “elimina” la legge precedente 102/09, che consentiva all’ospedale di “esodare” i medici con 40 anni di contributi inclusivi degli anni di laurea, teoricamente prima del raggiungimento dei limiti d'età e anche dei 62 anni, età al di sotto della quale oggi iniziano le penalizzazioni sull’assegno pensionistico.
 

Nel 2013, il decreto legge salva precari 101 ai commi 5 e 6 aveva previsto che i dipendenti PA maturata l'anzianità di servizio siano collocabili a riposo raggiunto il limite d'età; a giugno scorso il decreto legge 90 abolisce il trattenimento in servizio: da novembre 2014  i dipendenti PA, raggiunti i requisiti per l'accesso alla pensione, non potranno stare altri due anni per maturare i requisiti pensionistici.
 

Ai medici del Servizio Sanitario non può essere impedito di raggiungere l'anzianità contributiva senza penalizzazioni (62 anni) e quindi possono restare fino a 70 anni in mancanza di requisiti. C'è da precisare che la legge 183/10 resta in piedi. Per cui è possibile rimanere fino al 40° anno di servizio effettivo. E per quanto riguarda la rottamazione non è obbligatoria, poiché le aziende possono, ma non sono obbligate a risolvere il rapporto di lavoro. Si dovrà invece licenziare (legge 125/13) solo dopo il 65° anno ed esauriti i 40 anni di servizio effettivo.

 

Ma vediamo i dettagli con l'emendamento delle Regioni che punta proprio sulla legge 183:  "Il limite massimo di età per il collocamento a riposo dei dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, ivi compresi i responsabili di struttura complessa, è stabilito al compimento del sessantacinquesimo anno di età, fatta salva, la rideterminazione dei requisiti di accesso al pensionamento come disciplinata dall’articolo 24, commi 10 e 12, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 e successive modificazioni”. Le Regioni, nel pacchetto di emendamenti al Dl 90 sulla riforma della PA (sul quale è stato dato parere favorevole), chiedono di fatto di sostituire l'art. 15 nonies comma 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502. L'intento è quello di correggere le previsioni sui pensionamenti eliminando la possibilità del riferimento alla legge 183/2010 che consente ai medici di restare in servizio fino a 70 anni.

 

Questa la motivazione fornita dalle Regioni: "L’abrogazione delle norme in materia di trattenimento in servizio è incompleta: manca infatti il riferimento all’art. 15 nonies del D.Lgs. 30.12.1992, n. 502, modificato dall’art. 22 comma 1 della L. 4.11.2010, n. 183. Si tratta dello specifico trattenimento in servizio dei dirigenti medici e del ruolo sanitario del SSN, compresi i responsabili di struttura complessa, che possono restare in servizio, a domanda, al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo, ossia al netto delle ricongiunzioni, fino a un massimo di settanta anni di età oltre il sessantacinquesimo".

 

Restando all'articolo 1, al comma 5 troviamo la richiesta di estendere a tutta la dirigenza pubblica la possibilità di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro. "Non si comprende per quale ragione nell’identificare il personale al quale si applica la risoluzione unilaterale si sia fatto riferimento ai dirigenti medici responsabili di struttura complessa - si legge nella motivazione -. La norma si applica a tutti i dirigenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 comma 2 del D.Lgs. 165/2001, compresi di dirigenti del ruolo sanitario del Ssn". Passando all'articolo 3 si chiede di sopprimere le parole "per un arco temporale non superiore ai 3 anni", così da eliminare i limiti per il turn over, in modo di favorire il ricambio generazionale, in un’ottica di semplificazione e di  flessibilità applicativa delle regole del turn over e dei vincoli economico–finanziari.  Sulla mobilità obbligatoria, all'articolo 4, si spiega come "ai fini della mobilità interna alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2 le sedi collocate ad una distanza non superiore ai cinquanta chilometri costituiscono medesima unità produttiva ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile". In questo caso le Regioni spiegano che la modifica normativa è volta ad assicurare "migliore agibilità giuridica e quindi, concreta applicabilità alle misure di flessibilizzazione delle procedure di mobilità del personale pubblico, nel rispetto dell’autonomia degli enti e favorendo il miglior utilizzo, all’interno degli enti, della mobilità territoriale".



Infine, all'articolo 6, si chiarisce che, riguardo il divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza, "i soggetti in quiescenza ai quali è stato conferito un incarico dirigenziale prima dell’entrata in vigore del D.L. 90/2014, continuano ad operare, sino alla scadenza dell’incarico, anche se, nel frattempo abbiano raggiunto il limite di età ordinamentale". 

 

La nota di Anaao: Gli emendamenti presentati “dalle Regioni” al DL sulla pubblica amministrazione - è il commento dell'Anaao Assomed - sono francamente sconcertanti.  Strateghi raffinati, tecnici e politici, tacciono sui rinnovi contrattuali della dirigenza, dimenticando di avere “le Regioni” chiesto, sin dal 2011, un’area della dirigenza sanitaria, oltre che le ricorrenti promesse di imminente apertura del tavolo contrattuale da parte del Comitato di settore che pure presiedono, ma aprono i cordoni della borsa per le indennità organizzative del personale del comparto.
E non dimenticano, soprattutto, di istigare il legislatore non solo a favorire in ogni modo la rottamazione dei dirigenti medici e sanitari, ma anche a ridurre, con l’abolizione della legge 183/2010, la loro età di quiescenza, senza alcuna contropartita occupazionale per i giovani medici o stabilizzazione di un precariato di lungo corso di cui sono largamente responsabili.  Provvedimenti dai quali, ovviamente, tengono fuori gli amici universitari. Se un medico ospedaliero potrà essere licenziato a 62 anni, il corrispettivo direttore universitario resta intoccabile, non valutato e non valutabile, fino a 70 anni. Insieme con gli ospedali vogliono rottamare i medici ospedalieri. In un mercato sanitario che si va liberalizzando, con il rischio di sottrarre ulteriori risorse al servizio sanitario pubblico, ecco la ciliegina sulla torta che rende disponibili a costo zero le elevate competenze professionali necessarie alla sanità privata. Un delitto perfetto.

I problemi del SSN sono così ridotti al costo della siringa, che le Regioni hanno affidato al commissario Cottarelli per la palese incapacità a provvedere da sole, ed al costo, ed al numero, dei medici e dirigenti sanitari. Il primo da saldare al valore più basso, magari con un inquadramento contrattuale nel comparto per giovani all’ing resso, il secondo da ridurre con una rottamazione discrezionale fino all’arbitrio. E con il pensionamento anticipato rispetto a tutti gli altri medici e dirigenti sanitari che lavorano nel servizio sanitario. Una bandiera bianca alzata di fronte al ruolo di gestori della sanità pubblica, una resa ed una dichiarazione di impotenza a governare un sistema complesso se non, come si faceva nell’800, tagliando il costo del lavoro. Anche così muore un sistema sanitario pubblico. Senza esperienze e senza giovani cui trasmetterle.  Superato ogni ragionevole limite di buon senso ed equità, siamo ai due pesi ed alle due misure. Come nel patto della salute, agli ospedali standard di posti letto e di organici al ribasso, alla medicina convenzionata il rinnovo degli accordi contrattuali, agli universitari il mantenimento dello statu quo. La politica dei più forni. Stiano attenti gli assessori a non scottarsi in vista delle prossime campagne elettorali. 
Governo e Parlamento respingano gli emendamenti “delle Regioni” che, con arroganza e senza responsabilità sociale, per dispetti e tornaconti localistici, battono un nuovo colpo contro la sanità pubblica.
 

 

La questione flessibilità in uscita ''esiste''. A riconoscerlo è il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che però ribadisce come la priorità spetti agli esodati e a tutti coloro che si ritrovano senza tutele. Dopo l'invito rivolto dall'Inps, in occasione della relazione annuale al parlamento, Poletti chiarisce come infatti abbassare il grado di rigidità del sistema abia ''una sua corposa problematicità dal punto di vista economico''. C'è, quindi, un nodo risorse che non può essere ignorato davanti a un'operazione simile. Mettere le mani sull'impalcatura uscita dalla riforma Fornero avrebbe d'altra parte tante implicazioni. All'indomani delle osservazioni del commissario straordinario Inps, Vittorio Conti, sull'opportunità di smussare alcuni angoli della struttura senza stravolgimenti, il ministro ammette che ''esiste un tema, in generale, di come possiamo flessibilizzare l'uscita'', tuttavia prima occorre affrontare ''le emergenze sociali''. Due sono le categorie che meritano secondo Poletti la precedenza: esodati e quanti hanno perso il lavoro e ora sono senza ammortizzatori o pensione. Inoltre per il ministro ogni discorso sulla flessibilità va inserito nelle '''dinamiche'' che riguardano le ''scelte del governo sull'utilizzazione delle risorse''.

 

fonte: ansa, ministero lavoro, doct33, adn, qs

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