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La dura vita del medico d’urgenza: cronaca di una giornata di lavoro

Sanità pubblica Silvio Campione | 25/07/2011 09:53

Un turno di notte ogni tre giorni per mandare avanti il pronto soccorso e assicurare ai cittadini il servizio di emergenza anche nei mesi estivi. E' la vita dei medici che lavorano nei reparti di medicina d'urgenza, che a luglio e agosto si ritrovano a dover 'coprire' la carenza di personale e i colleghi andati in ferie con vere e proprie 'maratone' in ospedale, comprese le massacranti nottate. "E' evidente che in tutti i pronto soccorso italiani, ma in particolare in quelli delle Regioni più in difficoltà a causa dei piano di rientro - dice Massimo Magnanti, medico e segretario del Sindacato professionisti emergenza sanitaria (Spes) - il carico di lavoro e' enorme: si fanno sei, sette turni di notte al mese, a volte di seguito, con tutto quello che comporta. Senza nulla togliere agli altri professionisti, una notte in pronto soccorso non è come una notte in un reparto di Riabilitazione. E poi la mattina, quando si 'stacca', ci sono i figli da gestire e le commissioni da fare".

Insomma, ci si riposa davvero poco. "Chi fa questo lavoro sa che è fatto così - prosegue - ma le carenze di organico hanno il loro effetto negativo soprattutto nel periodo estivo: per 'coprire' i turni dei medici che vanno in vacanza" quelli che rimangono al lavoro fanno i salti mortali. E aumenta il rischio di distrazioni, stanchezza ed errori: "il pericolo esiste sempre, ma se un medico viene anche messo nelle condizioni fisiche di sbagliare, l'errore è più probabile". Le città d'arte, svuotate dei loro abitanti ma prese d'assalto dai turisti, "mantengono un carico di lavoro imponente anche d'estate", evidenzia Vittorio De Feo, presidente della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (Simeu) per la Campania.

E dalle località di villeggiatura più vicine arrivano pazienti in difficoltà che si rivolgono alle strutture delle metropoli per cercare migliore assistenza. Risultato: "le cinque notti al mese che normalmente spettano a ogni medico del pronto soccorso - spiega - con i colleghi in ferie diventano sempre più ravvicinate fra loro: si può arrivare a doverne fare 10 nel giro di sei settimane e anche più. A tutto ciò si aggiungono le numerose ore di straordinario e la necessità di coprire anche eventuali casi di malattia".
A causa dell'organico ridotto ai minimi termini, "qui siamo stati costretti a chiamare personale da altri reparti per il pronto soccorso - racconta Sandro Petrolati, della segreteria Anao-Assomed e medico dell'ospedale San Camillo di Roma - e comunque i 'camici bianchi' dell'emergenza-urgenza sono costretti a fare nove, dieci, anche undici turni di notte al mese". E il logorio psico-fisico, risultato di turni di lavoro troppo stancanti, può diventare un fardello pesante da sopportare. Soprattutto sulle spalle di quei camici bianchi più fragili che, nella maggioranza dei casi, non volendo o sapendo a chi rivolgersi, rischiano di precipitare in una sorta di 'buco nero': il burnout, lo stress lavorativo che colpisce le persone che esercitano le cosiddette professioni d'aiuto. Tra i più colpiti sono proprio i medici: secondo il network 'Medico cura te stesso', il fenomeno - cresciuto dell'1% l'anno negli ultimi cinque - riguarda in Italia il 30% dei medici 'over 50'. Tra questi, numerosi sono quelli che finiscono per prendere strade molto pericolose: sono infatti almeno 5 mila i medici italiani che, smarriti e sotto stress, si rifugiano in alcol e droghe, soprattutto cocaina.

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