Se le 'linee guida' in uso negli ospedali 'dovessero rispondere solo a logiche mercantili', il rispetto delle stesse 'a scapito dell'ammalato, non potrebbe costituire per il medico una sorta di salva condotto, capace di metterlo al riparo da qualsiasi responsabilità, penale e civile, o anche solo morale'. Lo sottolinea la Cassazione - con al sentenza 8254 della IV Sezione Penale - lanciando un monito ai medici che lavorano negli ospedali. I Supremi giudici aggiungono che 'sul rispetto di quelle logiche' mercantili, non può 'innestarsi un comportamento virtuoso del medico che, secondo scienza e coscienza, assuma le decisioni più opportune a tutela della salute del paziente'.
Secondo la Cassazione le linee guida possono 'legittimamente' essere 'ispirate anche a logiche di economicità di gestione' purché‚ non siano 'in contrasto con le conclamate esigenze di cura del paziente'. Ma veniamo ai fatti: per la Suprema Corte i criteri di economicità, nel contenimento della spesa sanitaria, non possono prevalere sul diritto alla salute dei cittadini ricoverati negli ospedali e le dimissioni del paziente devono essere decise solo in base a valutazioni di 'ordine medico', e non ancorate ai criteri fissati dalle 'linee guida' in uso nelle strutture sanitarie. Lo sottolinea la Cassazione annullando l'assoluzione di un medico dall'accusa di omicidio colposo di un paziente dimesso, seguendo i criteri delle linee guida, dopo 9 giorni, da un intervento cardiaco. Una sentenza che contraddice in parte quanto dichiarato da Fazio sui ricoveri ospedalieri che dovranno essere centellinati. Con questa decisione, infatti, la Quarta sezione penale della Cassazione - sentenza 8254 - ha accolto il ricorso della procura della Corte d'Appello di Milano, e dei familiari del paziente deceduto per essere stato dimesso troppo frettolosamente, contro l'assoluzione di Roberto G., medico dell'ospedale civile di Busto Arsizio nel quale Romildo B. era stato ricoverato il 9 giugno 2004 per infarto al miocardio. Sottoposto ad angioplastica con applicazione di uno spent 'medicato', veniva dimesso dopo 9 giorni, il 18 giugno, dal momento che risultava 'asintomatico e stabilizzato'. Ma quella stessa notte, Romildo B. aveva un nuovo scompenso e nonostante la moglie ed il figlio lo avessero trasportato subito in ospedale, vi giunse già in arresto cardiocircolatorio. Se l'uomo non fosse stato dimesso, ha accertato la perizia legale, sarebbe tranquillamente sopravvissuto per le rapide cure che avrebbe ricevuto in reparto. In primo grado il medico firmò che le dimissioni, venne condannato a 8 mesi di reclusione e a risarcire i danni morali ai familiari.
I commenti delle associazioni di categoria
Rischia di "alimentare la medicina difensiva" la sentenza della Cassazione secondo la quale i 'camici bianchi' possono essere chiamati a rispondere di omicidio colposo se dimettono 'sbrigativamente' dall'ospedale pazienti a rischio, che poi muoiono. Lo evidenzia il segretario nazionale Anaao Assomed, Costantino Troise, che dice di "condividere appieno le premesse" della sentenza 8254 della quarta sezione penale della Suprema Corte, che segna uno stop alle dimissioni troppo precipitose a tutela della salute dei pazienti.
"Condivido assolutamente le premesse, secondo cui l'aspetto professionale deve essere preminente rispetto alle logiche economiche. Ma le conclusioni - dice Troise - mi lasciano perplesso. Un evento avverso puo' capitare in ogni momento, a casa come in ospedale", mentre e' fondamentale che "il paziente sia stabile e asintomatico quando viene dimesso". Insomma, la paura di possibili conseguenze giudiziarie non deve guidare la decisione del medico.
Esattamente come non devono farlo le logiche economiche. Altrimenti "per assurdo, chi si prenderebbe la responsabilita' di dimettere mai un paziente?", si chiede Troise. "La sentenza, che mi sembra entri decisamente nel merito della vicenda, chiama anche in causa le linee guida - prosegue Troise - e sottolinea che a un medico, per liberarsi da ogni responsabilita', non basta dire di essersi 'attenuto scrupolosamente alle linee guida'"."Ma e' bene ricordare - avverte Troise - che le linee guida sono suggerimenti elaborati in genere da societa' scientifiche, che servono per orientare il medico, non sono imposizioni" o salvacondotti. "Altra cosa - prosegue - sono le direttive aziendali, che pure vengono chiamate in causa nel testo. Leggendo le anticipazioni, mi sembra ci sia una certa confusione fra questi due aspetti, dunque occorrerebbe leggere il testo integrale della sentenza".
Se poi la Cassazione stabilisce che "la valutazione di dimissibilita' deve essere di ordine medico, non statistico", in questo caso Troise non puo' che essere d'accordo. Il problema e' che, azzerando l'utilita' delle linee guida, "si tornerebbe all'opinione dei singoli, facendo piazza pulita dei recenti progressi della medicina. Di fatto - conclude - si tornerebbe indietro a un'epoca pre-moderna". La Cassazione ha dato un 'messaggio forte ai medici e ai cittadini: il tema delle dimissioni, finora relegato alla gestione manageriale, e' ritornato nell'alveo delle responsabilita' dei medici'. Lo ha affermato Francesca Moccia, coordinatrice nazionale del Tribunale per i Diritti del Malato-Cittadinanzattiva.
'Da anni riceviamo denunce per questo fenomeno di 'dimissioni forzate' - ha proseguito Moccia - e si tratta di un fenomeno che con i tagli alla sanita' e i Piani di rientro a cui sono sottoposte alcune Regioni, e' prevedibile che aumentera''.
Secondo la coordinatrice del Tribunale dei Diritti del Malato, 'molto e' stato fatto negli ultimi anni sul fronte dell'assistenza post-ospedaliera. Fino a dieci anni fa - ha aggiunto Moccia - non esisteva l'assistenza domiciliare che pure oggi ha ancora i suoi limiti qualitativi e quantitativi ma almeno qualcosa e' stato fatto', mentre la questione delle 'dimissioni forzate' e' rimasta inalterata, se non peggiorata, rispetto al passato. 'Al di la' del caso specifico su cui si e' pronunciata la Cassazione - ha sottolineato - e' importante cogliere il messaggio dei giudici che hanno voluto ricondurre la responsabilita' delle dimissioni ai medici, riconoscendo anche una personalizzazione delle cure, uno dei diritti dei malati.
Allo stesso tempo, si e' voluto ridimensionare chi gestisce, dal punto di vista economico e amministrativo, le strutture ospedaliere'. La sentenza della Cassazione che afferma la priorità delle valutazioni di "ordine medico" rispetto alle linee guida aziendali ispirate da criteri di economicità, sarebbe una buona notizia se sanzionasse le scelte della struttura ospedaliera e non quelle del singolo medico. Cosi' il segretario della Fp Cgil Medici, Massimo Cozza: "Il medico - osserva Cozza - rischia cosí di pagare sulla propria pelle i limiti di un sistema sanitario che affronta una deriva ragionieristica. In un sistema impoverito, una politica sanzionatoria che contrappone i diritti dei cittadini alla professionalità dei medici rischia di alimentare il ricorso a forme di medicina difensiva che non tutelerebbero i primi e mortificherebbero i secondi". La magistratura, "di cui apprezziamo il prezioso lavoro di controllo sulle disfunzioni del sistema sanitario nazionale, non metta peró i medici - aggiunge - sul banco degli imputati anche quando questi agiscono in scienza e coscienza. Sanzioni piuttosto le scelte di politica aziendale sbagliate, per tutelare i cittadini e la professionalità dei medici stessi". 'Ora e' necessario fare chiarezza fino in fondo e trasferire questo principio nella normativa. Altrimenti il medico si trovera' esposto a sanzioni da parte dell'azienda se non rispetta le 'logiche di mercato'': Riccardo Cassi, il presidente di Cimo-Asmd (che rappresenta i medici ospedalieri e i medici dirigenti) non ha dubbi: 'la sentenza segna uno stop alle dimissioni troppo frettolose di un paziente per criteri di contenimento della spesa. Si tratta, secondo Cassi, di una 'sentenza importante che riporta il medico al centro delle decisioni diagnostico-terapeutiche, dopo anni di predominanza di logiche economiche che hanno cercato di trasformarlo da professionista in dirigente impegnato a cercare di far risparmiare le aziende'. Secondo il presidente di Cimo, e' 'indifferibile recuperare il ruolo del medico quale professionista autonomo nelle decisioni clinico-assistenziali che in ogni caso devono assumere prevalenza rispetto agli obiettivi economici delle aziende'.
La politica
Anche il senatore del Pd Ignazio Marino interviene sulla sentenza della Cassazione: "'Il principio enunciato dalla Cassazione è importante e intende tutelare il diritto alla salute, costituzionalmente garantito. Tuttavia, sono convinto che le linee guida introdotte negli ospedali dei paesi industrializzati abbiano rappresentato un significativo progresso per la qualita' della sanità: hanno permesso infatti di standardizzare i trattamenti medici in base alle indicazioni delle società scientifiche, uniformando i modelli di cura". 'Si tratta di criteri - aggiunge Marino - sui quali si fonda la medicina moderna e non contemplano soltanto principi di economicità e risparmio per le strutture ospedaliere'. Marino osserva che 'le linee guida naturalmente stabiliscono uno standard di comportamento ma non azzerano il giudizio individuale del medico. Ogni professionista deve mantenere la discrezionalita' nella decisione finale che riguarda un paziente, questo non è in discussione'.
Il parere dei medici
Un paziente con un infarto ''non complicato'' dopo 8 o 9 giorni può essere dimesso secondo i medici ma secondo le linee guida anche dopo 4-5 giorni. Prima però vanno effettuati esami specifici e valutato il paziente. Cardiologi e linee guida, spesso, non si incontrano ma a prevalere deve essere il giudizio ''soggettivo'' del medico. Ne è convinto Francesco Fedele, direttore del dipartimento di Scienze cardiovascolari nefrologiche e geriatriche dell'universita' Sapienza di Roma. ''Dopo l'angioplastica il malato viene ricoverato in terapia intensiva coronarica - afferma Fedele - e il costo per l'ospedale varia tra gli 800 e i 1000 euro al giorno, ai quali si deve aggiungere il costo dello stent applicato. Dopo un giorno, un giorno e mezzo, il paziente viene spostato nel reparto, dove il costo della degenza si abbassa, attestandosi sui 400 euro al giorno. Ma il medico non dovrebbe essere impegnato a pensare ai parametri economici. Bisogna uscire da questa diabolica questione dei soldi. Sentiamo il fiato sul collo e la pressione del nostro manager''. Anche secondo Marco Bobbio, primario di Cardiologia all'ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo il giudizio del medico ''e' soggettivo'', perche' ''le linee guida consentono di dimettere un paziente con infarto anche dopo 4-5 giorni'' ma ''dipende dal tipo di trattamento eseguito, dall'evoluzione dell'infarto durante la degenza e dalle caratteristiche cliniche paziente. Le linee guida sono una traccia''. Ci sono poi, secondo Bobbio ''delle pressioni anche dai Pronto Soccorso per la disponibilita' dei letti e puo' accadere di forzare le dimissioni per far posto ad altri pazienti che hanno maggior bisogno di un posto letto - aggiunge - . In ogni caso la dimissione non viene fatta se il medico non ha una ragionevole certezza che non si verifichino complicazioni''. Quanto al pericolo che la sentenza inasprisca la 'medicina difensiva', per Bobbio, ''se fosse stata una sentenza che confermava la colpevolezza del medico avrebbe indotto molti medici a prolungare il ricovero a una maggior percentuale di pazienti ma in questo caso viene annullata una sentenza di assoluzione e non dovrebbe dare adito ad un cambiamento di comportamento dei medici''.
Ecco le tappe della vicenda ospedaliera di Romildo B., il paziente cardiopatico deceduto poche ore dopo essere stato dimesso dall'ospedale di Busto Arsizio dove era stato ricoverato per nove giorni nel 2004.
9 GIUGNO - Viene trasportato in ospedale dove, in urgenza, durante l'esecuzione di una coronografia, e' sottoposto ad angioplastica coronarica. Gli applicano uno stent 'medicato'. Ha un infarto miocardico con grave insufficienza respiratoria.
14 GIUGNO - Viene trasferito dal reparto di Terapia Intensiva a quello di Cardiologia. Diagnosi di edema polmonare, infarto miocardico acuto, con patologie preesistenti di ipertensione arteriosa in soggetto fumatore. Nei giorni successivi sono eseguiti diversi accertamenti, tra cui un Ecg holter.
18 GIUGNO, MATTINA - Nella cartella clinica si registra che Romildo risultava 'asintomatico, obbiettivita' negativa, con scomparsa dell'eritema che in precedenza aveva manifestato; l'ecocardiodoppler di controllo aveva mostrato una moderata ipertrofia ventricolare sinistra, acinesia antero settale e laterale sinistra medio-apicale, restrittivita' diastolica, frazione di eiezione 29%, mentre l'Ecg aveva registrato esiti di infarto antero-laterale con semiblocco anteriore sinistro'.
18 GIUGNO, POMERIGGIO - Il dottore Roberto G., addetto alle cure e alle terapie postoperatorie di Romildo, decide di dimetterlo. Al paziente viene prescritta una terapia farmacologia. Dall'anamnesi e' emerso che il malato era un soggetto a rischio coronarico trattandosi di fumatore, iperteso da tre anni con rifiuto di terapia, affetto da ipercolesterolomia grave, da ipertrigliceridemia, obesita', tutti indicatori di una sindrome dismetabolica.
18 GIUGNO, NOTTE - A poche ore dal rientro a casa, Romildo e' colto da crisi respiratoria e tosse. Trasportato in ospedale, vi giunge in arresto cardiocircolatorio. L'autopsia accerta che la morte, dovuta ad affezione cardiaca, era derivata non da 'scompenso congestizio, bensi' da aritmica tipo tachicardia fibrillazione ventricolare'. Se fosse stato ancora ricoverato, si sarebbe salvato con il defibrillatore e le cure tempestive
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