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Progetto Interceptor, i biomarcatori per predire la demenza

Neurologia Redazione DottNet | 17/02/2025 12:03

Il Presidente AIFA, Robert Nisticò: “Con Interceptor passo avanti importante verso terapie sempre più mirate ed efficaci”

La combinazione di più biomarcatori può permettere di individuare le persone a maggior rischio di sviluppare demenza tra quelle che soffrono di un disturbo cognitivo lieve. Candidati ideali per erogare precocemente i primi trattamenti che agiscono sui meccanismi biologici di sviluppo della malattia come quelli di recente approvati dalle Autorità per il Farmaco americane e di prossima approvazione da parte dell'agenzia europea. A dimostrarlo sono i primi risultati del progetto nazionale Interceptor, promosso e finanziato nel 2018 dal ministero della Salute e dall'Aifa, presentati a un Convegno organizzato dall'Osservatorio demenze del Centro nazionale prevenzione delle malattie e promozione della salute (Cnapps) dell'Iss, dal Dipartimento neuroscienze, Unità clinica della memoria del Policlinico universitario A. Gemelli Irccs e dal dipartimento di Neuroscienze e neuroriabilitazione dell'Irccs San Raffaele.

Lo studio si è basato sulla considerazione che le terapie sono più efficaci se somministrate precocemente, che le persone con disturbo cognitivo lieve (o Mci, Mild Cognitive Impairment) sono a maggior rischio di andare incontro a demenza entro 3 anni e che le nuove terapie presentano importanti effetti collaterali.

Inoltre i costi altissimi e il fatto che solo il 30-40 per cento degli Mci progredisce verso la demenza, rendono impossibile una somministrazione su larga scala (i pazienti con disturbo cognitivo lieve in Italia sono circa 950mila). Partendo da circa 500 volontari, sono stati analizzati 351 partecipanti con declino cognitivo lieve. Sono stati sottoposti a una serie di esami per rilevare i biomarcatori per la valutazione delle funzioni cognitive, per la valutazione della memoria episodica, per l'analisi dell'attività metabolica cerebrale, risonanza magnetica volumetrica per la valutazione dell'atrofia ippocampale, per lo studio della connettività cerebrale, test genetico per Apoe e4 ed infine esame del liquido rachidiano per la misurazione dei marker biologici di malattia di Alzheimer. Durante il follow-up 104 pazienti con Mci sono progrediti ad una forma di demenza, di questi 85 verso la diagnosi clinica di demenza di Alzheimer. Il modello finale include otto predittori e ha dimostrato buone capacità prognostiche nel predire la conversione a demenza, classificando correttamente l'81,6% delle persone con disturbo cognitivo lieve, sia quelle che convertiranno a demenza che quelle che resteranno stabili.

"Il Progetto Interceptor, finanziato da AIFA, rappresenta un passo avanti fondamentale verso l’individuazione di biomarcatori in grado di predire chi, affetto da disturbi cognitivi lievi, avrà in seguito maggiori possibilità di sviluppare l’Alzheimer. Consentendo così un utilizzo più mirato di terapie altamente costose, che rischierebbero altrimenti di mettere in seria crisi l’intero sistema di assistenza sanitaria". Lo ha affermato il Presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco, Robert Nisticò, intervenendo questa mattina all’Istituto Superiore di Sanità nel corso del convegno per la presentazione dei risultati dello studio che mirava a individuare un insieme di biomarcatori in grado di predire l'insorgenza della malattia di Alzheimer nelle persone con disturbo cognitivo lieve.

"L’EMA – ha proseguito Nisticò - ha recentemente approvato il lecanemab, un anticorpo monoclonale che ripulisce il cervello della beta amiloide, la proteina che accumulandosi nel cervello può generare infiammazioni che portano alla neurodegenerazione e a disturbi come la perdita della memoria. Ma sull’efficacia del farmaco c’è ancora molta incertezza, perché rimuovere la beta amiloide non necessariamente ha un impatto positivo sul paziente in termini clinici e funzionali. Possiamo dire che questo, come altri già approvati dalla FDA americana, sono farmaci che rallentano il decorso della malattia, ma lo fanno in maniera transitoria e la loro efficacia a lungo termine è ancora tutta da verificare".

"La realtà – ha concluso il Presidente di AIFA – è che l’Alzheimer è una malattia molto complessa che va aggredita sia con la prevenzione che con terapie in combinazione. Poi con biomarcatori che consentiranno di fare diagnosi e capire la prognosi saranno in futuro importanti le cosiddette terapie target, capaci di colpire il bersaglio più giusto per ciascun paziente. Questo nell’ambito di un approccio che è quello della medicina di precisione, alla quale AIFA sta lavorando con un Tavolo tecnico che raccoglie le più importanti società medico scientifiche e i rappresentanti dei medici".

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