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Congresso di neurologia, tra nuovi studi e il futuro della professione

Neurologia Redazione DottNet | 11/11/2024 13:59

"Importanti novità nel campo della Sclerosi Multipla, della Neuromielite Ottica, della Miastenia Gravis, della Atrofia Muscolare Spinale, della Cefalea, dei Disturbi del Sonno, e della Epilessia"

Mai come quest’anno la Neurologia italiana ha vissuto una inaspettata crescita e accresciuto il proprio valore clinico. Come testimoniato dagli oltre 1500 contributi scientifici e dal numero di iscritti, ad oggi più di 2000, il Convegno è stato l’occasione per conoscere i progressi in atto in tutti i campi della Neurologia. Infatti, l’esplosione dei trattamenti biologici e genetici ha rivoluzionato la gestione clinica di patologie che fino a pochi anni fa erano considerate orfane e intrattabili. Nel Congresso, infatti, vi sono stati importanti novità nel campo della Sclerosi Multipla, della Neuromielite Ottica, della Miastenia Gravis, della Atrofia Muscolare Spinale, della Cefalea, dei Disturbi del Sonno, e della Epilessia. Molta attenzione è stata  data alle patologie cerebrovascolari, le quali grazie al crescente utilizzo di trattamenti trombolitici così come ad una convinta espansione delle reti Stroke hanno permesso di ridurre la disabilità mentre una più adeguata gestione dei fattori di rischio ha permesso di osservare una riduzione del numero di eventi.

Nel campo delle Demenze e della Malattia di Alzheimer vi sono importanti novità sull’efficacia dei farmaci antiamiloide, così come lo sviluppo di biomarcatori plasmatici consente di intravedere nel prossimo futuro la possibilità di diagnosi più precoci e la possibilità di monitorare l’effetto dei trattamenti.

In questo contesto, alcuni dati sembrano suggerire che i nuovi farmaci contro il diabete potrebbero essere anche efficaci nel trattare non solo la Malattia di Alzheimer ma anche la Malattia di Parkinson. Queste così come altre malattie neurodegenerative sono oggetto di numerosi studi per comprenderne i meccanismi soprattutto di quelle forme che paiono più strettamente associate ad una predisposizione genetica. Infatti, vi sono diversi studi in corso nell’ambito della stessa Malattia di Parkinson, della Malattia di Alzheimer così come della Sclerosi Laterale Amiotrofica che indicano la possibilità di modificare l’espressione genica di alcuni geni direttamente coinvolti nei meccanismi patogenetici e di cambiare il decorso. Questo oggi è già realtà per la SMA, la Malattia di Fabry, per l’alfamannosidasi. Anche nel campo dei tumori cerebrali vi sono diverse novità che riguardano gli astrocitomi.

Diversi studi sull’utilizzo delle CAR-T cells sono promettenti anche su tumori più aggressivi, creando forti aspettative in questo campo. Il Convegno SIN porterà al centro della attenzione dei neurologi e delle neurologhe il tema della Salute del Cervello, avendo promosso di concerto con le varie Associazioni Aderenti, le Associazioni dei malati e dei loro familiari, numerose altre Società Scientifiche mediche e delle professioni sanitarie, unitamente alla Fnomceo, all’Ordine degli Psicologi e all’Ordine dei Farmacisti, il Piano Strategico One Brain, One Heath che mira a fare dell’Italia uno dei Paesi di avanguardia nel contrasto delle malattie neurologiche. In questo ambito, la Sin ha già in atto una interlocuzione con le Istituzioni per la creazione di un Tavolo per la Salute del Cervello e una serie di iniziative che riducano il peso globale delle malattie neurologiche anche attraverso una attiva politica di prevenzione e conoscenza dei fattori di rischio. Infine, Sin non poteva dimenticare quanto in atto nel nostro Sistema Sanitario. Saranno a tal riguardo diversi i simposi che affronteranno il tema della deospedalizzazione e della territorializzazione delle cure, della desertificazione delle periferie e degli scenari occupazionali, il tema della transizione demografica così come della torsione digitale che imporrà un nuovo modo di fare Neurologia. Non solo telemedicina e eHealth, ma soprattutto intelligenza artificiale, big data e digital twins, una realtà nei confronti della quale SIN insieme a Sin Giovani ha proposto un percorso formativo e certificativo, recentemente presentato ad AGENAS.

* Alfredo Berardelli, Presidente del Congresso e Alessandro Padovani, Presidente Società Italiana di Neurologia

Malattia di Alzheimer: una luce in fondo al tunnel*

Le terapie farmacologiche consolidate per la malattia di Alzheimer (inibitori della colinesterasi e memantina) non modificano il decorso della malattia e forniscono solo un modesto beneficio clinico. Le misure dei biomarcatori di amiloide, tau e neurodegenerazione sono state parte integrante degli studi clinici sulla malattia di Alzheimer per i farmaci biologici, per la selezione dei pazienti e il monitoraggio dell'efficacia. Ad oggi, due anticorpi monoclonali che hanno come bersaglio la proteina beta-amiloide (donanemab e lecanemab) sono stati approvati negli Stati Uniti, in UK, e sono in fase di valutazione da parte di altri Paesi. Gli studi clinici hanno dimostrato che gli anticorpi monoclonali sono efficaci nel rimuovere l'amiloide dal cervello nelle persone con malattia di Alzheimer precoce. I benefici cognitivi e funzionali sono statisticamente significativi, ma non raggiungono la differenza minima clinicamente importante. Anomalie di imaging correlate all'amiloide di edema vasogenico e microemorragie si verificano più frequentemente durante il trattamento; Sebbene questi siano solitamente asintomatici o transitori, in alcune persone sono gravi o fatali. È improbabile che il targeting dell'amiloide come strategia unimodale sia sufficiente e le terapie future potrebbero dover essere multimodali, mirando a target che coinvolgono diversi meccanismi patogenetici. Il peso della demenza è maggiore nella popolazione anziana dove domina la comorbilità e l’eziologia mista; si attenua la relazione tra biomarcatori, fenotipo clinico e patologia e la fragilità e la comorbilità influiscono sulla cognitività. Ciò crea sfide nell'identificazione di terapie efficaci per le fasce d’età in cui la demenza è più diffusa.

*Annachiara Cagnin, Professoressa Associata di Neurologia Università di Padova

Emicrania e cefalea cronica: le ultime novità sui farmaci*

Le scienze dell'emicrania hanno assistito a enormi progressi negli ultimi anni. I modelli preclinici e clinici sperimentali hanno contribuito in modo significativo a fornire informazioni utili sulle strutture cerebrali che mediano gli attacchi di emicrania. Questi modelli hanno chiarito il ruolo di alcune vie di neurotrasmissione, permettendo di identificare molecole-chiave nella complessa patogenesi dell'emicrania, con il risultato che, negli ultimi 5 anni, l’armamentario terapeutico dell’emicrania si è enormemente arricchito con farmaci target-specifici. Dagli anticorpi monoclonali diretti contro il peptide correlato al gene della calcitonina (CGRP) o il suo recettore, che vanno somministrati per via parenterale mensilmente o trimestralmente, agli ancora più recenti gepanti, antagonisti dello stesso recettore che seguono invece la canonica somministrazione per via orale, i nuovi farmaci stanno cambiano rapidamente lo scenario gestionale dell’emicrania, grazie alla loro efficacia e tollerabilità, ma anche in virtù delle specifiche modalità di somministrazione e di dispensazione. E mentre molte persone con emicrania che non avevano avuto beneficio dai precedenti trattamenti godono ora di un notevole miglioramento della loro qualità di vita, la ricerca continua con un nuovo anticorpo monoclonale diretto contro un diverso peptide, il PACAP, che si è dimostrato efficace nel trattamento dell’emicrania in uno studio di fase 2. Le buone notizie per medici e pazienti quindi continuano.

*Cristina Tassorelli, Professoressa di Neurologia  Università di Pavia

Ictus Cerebrale: i nuovi scenari con i farmaci trombolitici *

L'ictus cerebrale è una condizione grave, che colpisce fino a una persona su cinque nei paesi ad alto reddito e quasi una su due nei paesi a basso reddito. Globalmente, rappresenta la seconda causa di morte. È importante sapere che l'ictus può essere prevenuto e trattato. Negli ultimi anni, sono stati fatti progressi notevoli nella cura dell’ictus ischemico, la forma più comune di ictus, causata dall’ostruzione di un’arteria cerebrale da parte di un coagulo o trombo. La rimozione tempestiva di questo trombo, tramite farmaci o tecniche meccaniche, può ridurre in modo significativo il rischio di morte e di disabilità. Il trattamento farmacologico include farmaci somministrati per via endovenosa, capaci di dissolvere i trombi. Tra questi, il tenecteplase sta dimostrando di essere più efficace e facile da somministrare rispetto all’alteplase, finora il farmaco standard per il trattamento dell'ictus ischemico. In Italia, è previsto che il tenecteplase sia disponibile per il trattamento dell'ictus a partire dal prossimo anno. Parallelamente, anche i dispositivi meccanici per la rimozione dei trombi hanno subito miglioramenti significativi, permettendo di riaprire i vasi ostruiti in modo più efficace e sicuro. Le tecniche avanzate di imaging, come la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica, supportate da software per lo studio della perfusione cerebrale e intelligenza artificiale, consentono inoltre di identificare in modo affidabile i pazienti che hanno tessuto cerebrale potenzialmente salvabile, estendendo la finestra temporale d’intervento dalle iniziali 4,5-6 ore fino a 24 ore. Questo ampliamento delle possibilità di trattamento consente oggi di intervenire su un numero maggiore di pazienti, migliorando le probabilità di sopravvivenza e gli esiti clinici.Anche per l’ictus emorragico, la forma meno comune ma più grave causata dalla rottura di un vaso sanguigno all'interno del cervello, ci sono stati recenti progressi nelle strategie di gestione. Studi clinici hanno dimostrato che un controllo rapido della pressione arteriosa e la somministrazione di antidoti nei pazienti in terapia anticoagulante, insieme ad altre misure di supporto, possono migliorare la sopravvivenza e ridurre le disabilità. Recentemente, un importante studio scientifico ha mostrato che in alcuni tipi di emorragia cerebrale, l’evacuazione dell’ematoma tramite piccoli cateteri può apportare vantaggi significativi, aprendo nuove possibilità terapeutiche per i pazienti colpiti da ictus emorragico.

*Simona Sacco, Professoressa di Neurologia Università de L’Aquila 

Parkinson: quale lo scenario futuro? *

La malattia di Parkinson (PD) è la malattia neurologica in più rapida crescita a livello globale e pone notevoli sfide gestionali a causa della disabilità progressiva, dell'insorgenza di sintomi resistenti alla levodopa e delle complicanze correlate al trattamento. In questo Congresso faremo il punto sullo stato attuale della ricerca sulle terapie per il Parkinson e delineiamo le priorità future per far progredire la nostra comprensione e il trattamento della malattia. Identifichiamo due principali priorità di ricerca per i prossimi anni: in primo luogo, rallentare la progressione della malattia attraverso l'integrazione di biomarcatori sensibili e terapie biologiche mirate, e in secondo luogo, migliorare i trattamenti sintomatici esistenti, che comprendono terapie chirurgiche e infusionali, con l'obiettivo di posticipare le complicanze e migliorare la gestione a lungo termine del paziente. Il percorso verso la modificazione della malattia è ostacolato dalla fisiopatologia multiforme e dai diversi meccanismi alla base della malattia di Parkinson. Gli studi in corso sono diretti all'aggregazione della α-sinucleina, integrati da sforzi per affrontare percorsi specifici associati alle forme genetiche meno comuni della malattia. Il successo di questi sforzi si basa sulla definizione di solidi endpoint, sull'integrazione della tecnologia e sull'identificazione di biomarcatori affidabili per la diagnosi precoce e il monitoraggio continuo della progressione della malattia. Nel contesto del trattamento dei sintomi, l'attenzione dovrebbe spostarsi verso il perfezionamento degli approcci esistenti e la promozione dello sviluppo di nuove strategie terapeutiche che mirino ai sintomi resistenti alla levodopa e alle manifestazioni cliniche che compromettono sostanzialmente la qualità della vita. In questo contesto, occorre ricordare i progressi nell’utilizzo della Stimolazione Cerebrale Profonda e dell’utilizzazione della neuroablazione del VIM (nucleo Ventrale Intermedio Mediale del talamo) mediante ultrasuoni focalizzati sotto guida della Risonanza Magnetica (MR-guided Focused Ultra-Sound o MRgFUS), tecniche ormai presenti su tutto il territorio nazionale a conferma della loro efficacia.

*Fabrizio Stocchi, Professore Ordinario Università San Raffaele di Roma

Il trattamento dell’Epilessia: il futuro delle terapie farmacologiche*

L'epilessia è un disturbo cerebrale comune, caratterizzato da crisi epilettiche ricorrenti spontanee, con comorbilità neuropsichiatriche e cognitive associate e aumento della mortalità. Sebbene le persone a rischio possano spesso essere identificate, non sono disponibili interventi per prevenire lo sviluppo del disturbo. Inoltre, in almeno il 30% dei pazienti, l'epilessia non può essere controllata dagli attuali farmaci anticrisi (ASM). Come risultato dei notevoli progressi nella genetica dell'epilessia e dello sviluppo di nuovi modelli di malattia, tecnologie di screening farmacologico, di neuroimmagini e modalità terapeutiche innovative negli ultimi 10 anni, più di 200 nuove terapie per l'epilessia sono attualmente in fase preclinica o clinica, inclusi molti trattamenti che agiscono secondo nuovi meccanismi d’azione. Grazie all’individuazione di biomarcatori diagnostici e predittivi, il trattamento dell'epilessia sta subendo cambiamenti da una visione esclusiva sugli ASM che attraverso la loro efficacia e tollerabilità sono sintomatici utili alla prevenzione della refrattarietà e delle recidive, ad una visione incentrata alla persona con epilessia quindi ad una terapia personalizzata per ogni singolo individuo nella sua complessità. Le potenzialità dei nuovi farmaci di terza generazione assieme all’avanzato sviluppo di nuove terapie come a esempio quella genica porterà in un futuro prossimo a terapie meno empiriche sia per il trattamento sia per la prevenzione dell'epilessia.

*Angelo Labate, Professore Ordinario di Neurologia Università di Messina

Un futuro per la Miastenia Gravis e le patologie Neuroimmunologiche *

La miastenia grave (MG) è una malattia neuromuscolare autoimmune cronica caratterizzata da debolezza muscolare e affaticamento. La malattia è causata principalmente da anticorpi che hanno come bersaglio i recettori dell'acetilcolina (AChR) e le proteine chinasi muscolo-specifiche (MuSK) a livello della giunzione neuromuscolare. I trattamenti tradizionali per la MG, come gli inibitori dell'acetilcolinesterasi, i corticosteroidi e gli immunosoppressori, hanno dimostrato efficacia, ma sono spesso associati a significativi effetti collaterali a lungo termine e non sempre riescono a determinare il controllo della malattia. Infatti, circa il 15% dei pazienti non risponde adeguatamente alle suddette terapie. I recenti progressi nell’ambito delle terapie molecolari, che includono gli anticorpi monoclonali ad azione differenziata sui linfociti B, sul complemento, sul recettore Fc neonatale e, più recentemente, le terapie CAR-T stanno affermandosi come promettenti presidi terapeutici innovativi. Questa revisione descrive i progressi apportati da queste nuove terapie in considerazione dei meccanismi d’azione e dell’efficacia, mettendo in evidenza le sfide da affrontare nel prossimo futuro. L'integrazione di nuove terapie molecolari nella pratica clinica potrebbe trasformare in modo significativo il panorama terapeutico della MG, offrendo opzioni terapeutiche più efficaci e personalizzate. Queste innovazioni sottolineano l'importanza della ricerca e degli studi clinici in corso per ottimizzare le strategie terapeutiche e migliorare la qualità della vita delle persone con MG.

*Rocco Liguori, Professore Ordinario di Neurologia Università di Bologna

Sclerosi Multipla: le novità sulla diagnosi e in tema di terapie "Disease Modifying" *

La sclerosi multipla (SM) è la malattia infiammatoria-demielinizzante-degenerativa disimmune cronica più frequente del sistema nervoso centrale (SNC), che può esordire ad ogni età, ma è più comunemente diagnosticata tra i 20 e i 40 anni. Le manifestazioni cliniche e il decorso della malattia sono estremamente variabili da paziente a paziente. Il costante aggiornamento dei criteri diagnostici, l’ultimo dei quali del 2024, ha portato ad una progressiva anticipazione della diagnosi con conseguente possibilità di decisioni terapeutiche sempre più precoci. Chiare evidenze scientifiche dimostrano che è fondamentale iniziare il trattamento appena la malattia viene diagnosticata al fine di modificare l’andamento e ridurre lo sviluppo di disabilità clinica irreversibile. Il trattamento della SM rappresenta uno scenario in rapida e costante evoluzione, con nuove molecole in diverse fasi di sperimentazione e altre in fase di valutazione da parte delle Autorità Regolatorie. Negli ultimi anni, il panorama del trattamento della SM si è evoluto in modo sostanziale grazie all'introduzione di terapie modificanti la malattia (DMT) sempre più efficaci. Le DMT attualmente disponibili vengono distinte in DMT a efficacia moderata e DMT ad alta efficacia. La scelta del trattamento tra queste diverse DMT è generalmente influenzata da diversi aspetti, tra cui il profilo del paziente con SM, le linee guida disponibili, l'accesso limitato a specifici trattamenti a causa delle restrizioni legate alla loro rimborsabilità, e le preoccupazioni sulla sicurezza. Crescenti evidenze suggeriscono tuttavia che l’inizio precoce delle DMT ad alta efficacia ha un impatto positivo a lungo termine sulla progressione della malattia nei pazienti con SM. Diventa pertanto fondamentale identificare il miglior approccio terapeutico al momento giusto per il singolo paziente. Un panel di esperti nazionali, che ho coordinato, ha recentemente raccomandato di considerare una strategia di trattamento con utilizzo precoce di farmaci ad elevata efficacia, tenendo in considerazione il profilo di sicurezza del farmaco, la severità di malattia, l’attività clinica e/o radiologica, fattori correlati al paziente tra cui le sue preferenze del paziente. L’espandersi delle conoscenze sui processi fisiopatologici della malattia sta anche guidando la sperimentazione di molecole con nuovi meccanismi d’azione o di penetrazione a livello del sistema nervoso centrale. Combinati con gli sviluppi in ambito di trattamenti sintomatici e riabilitativi della malattia e con la progressiva disponibilità di biomarcatori per il monitoraggio del decorso della stessa, questi approcci sono promettenti per un miglioramento della qualità di vita del paziente con SM e per una riduzione dei costi per la società e il sistema sanitario nazionale.

*Massimo Filippi, Professore Ordinario Università Vita e Salute San Raffaele di Milano

Nuove prospettive in tema di Sclerosi Laterale Amiotrofica e di Distrofie Muscolari*

Il settore delle malattie neuromuscolari sta beneficiando di nuove prospettive terapeutiche per le persone affette da queste patologie che, oltre ai muscolari scheletrici, compromettono la muscolatura respiratoria, deglutitoria e, in diversi casi anche quella cardiaca. La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una grave malattia neurodegenerativa caratterizzata dalla graduale perdita dei motoneuroni, che porta a disabilità significative e ancora oggi è considerata a prognosi infausta. alla morte. Nonostante le ricerche in corso, le opzioni di trattamento sono ancora limitate, sottolineando la necessità di una comprensione più profonda dei complessi meccanismi della malattia e dell'identificazione di nuovi bersagli terapeutici. Sono stati compiuti progressi significativi nel perfezionamento dei criteri diagnostici e nell'identificazione dei biomarcatori, portando a diagnosi più precoci e più precise. Sebbene la presa in carico olistica e gli attuali trattamenti farmacologici offrano alcuni benefici, c'è una chiara necessità di terapie più efficaci. Le mutazioni genetiche sono state identificate come fattori che contribuiscono alla SLA, con mutazioni nella superossido dismutasi 1 (SOD1), che neutralizza la specie reattiva dell'ossigeno dannosa superossido, che rappresenta circa il 2% di tutti i casi di SLA. Per contrastare l'aumento di funzione tossiche causate dalle mutazioni di SOD1, le strategie terapeutiche volte a sopprimere l'espressione genica di SOD1 si sono dimostrate promettenti. L'oligonucleotide antisenso (ASO) è un filamento di RNA, sintetizzato artificialmente, che si lega all'mRNA prodotto dal gene SOD1, rappresentando un approccio terapeutico di nuova generazione. Nel 2023, il tofersen è diventato il primo farmaco ASO approvato dalla FDA per la SLA, nel febbraio del 2024 ha ottenuto parere favorevole di CHMP di EMA e in Italia è disponibile l’accesso anticipato al farmaco Somministrato per via intratecale, tofersen si lega specificamente all'mRNA SOD1, inibendo la produzione della proteina SOD1 tossica, rallentando così il decorso neurodegenerativo di molti pazienti e parallelamente riducendo i neurofilamenti a catena leggera, biomarcatori della SLA e di altre forme neurodegenerative, in quanto espressione di danno neuronale. L'efficacia e la sicurezza a lungo termine di tofersen richiedono un'ulteriore convalida e lo sviluppo di protocolli di trattamento più ottimizzati è essenziale. Una serie di studi e sviluppi terapeutici relativi alle mutazioni della SOD1 hanno fatto progredire la comprensione della fisiopatologia della SLA e hanno contribuito in modo significativo alle strategie di trattamento dei disturbi del sistema nervoso centrale. Anche nel campo delle Distrofie Muscolari, ed in particolare della Distrofia Muscolare di Duchenne, vi sono nuovi approcci promettenti per rallentare la progressione di questa patologia, ad esordio infantile, e caratterizzata da ipotrofia e debolezza dei muscoli scheletrici, respiratori e del miocardio, in modo progressivo ed invalidante. Da inizio agosto 2024, in Italia, è possibile, in un programma di uso compassionevole, proporre ai bambini dai 6 anni in su, e deambulanti, givinostat, un inibitore delle istone deacetilasi (HDAC), enzimi che svolgono un ruolo cruciale nella regolazione dell'espressione genica e quindi in grado di intervenire su processi di crescita cellulari e sulla apoptosi, la morte cellulare programmata. Migliorando i meccanismi di riparazione delle fibre muscolari e quindi riducendo l’infiammazione e la fibrosi, ci si attende che givinostat rallenti l’evoluzione della patologia e soprattutto procrastini la perdita della deambulazione, a cui si associa solitamente quindi anche perdita graduale della funzione degli arti superiori e il peggioramento della capacità respiratoria e cardiovascolare.

*Valeria Sansone, Professore Ordinario Università di Milano, Centro Clinico NeMO Milano

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