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Cassazione, medici specializzandi e la rivalutazione dell’importo della borsa di studio: prescrizione decennale

Medlex Redazione DottNet | 19/02/2024 20:49

La Suprema Corte statuisce il principio per cui il credito concernente la rivalutazione annuale e la rideterminazione triennale dell’importo della borsa di studio, spettante ai medici specializzandi, ex art. 6 della legge n. 257 del 1991, è soggetto

La Suprema Corte statuisce il principio per cui il credito concernente la rivalutazione annuale e la rideterminazione triennale dell’importo della borsa di studio, spettante ai medici specializzandi, ex art. 6 della legge n. 257 del 1991, è soggetto a prescrizione decennale e non quinquennale

La Corte di Cassazione, nell'ordinanza 31 gennaio 2024, n. 2913 si è espressa sulla domanda di alcuni medici competenti al riconoscimento del diritto ad essere inquadrati come lavoratori subordinati con contratto di formazione e lavoro, nonché sul diritto al pagamento di tutte le differenze retributive con la conseguente regolarizzazione della posizione individuale, contributiva e previdenziale.

I ricorrenti – che avevano frequentato le scuole di specializzazione presso l’Università degli Studi di Messina – desideravano ottenere l’estensione delle norme sul trattamento economico dei medici in formazione specialistica, per evitare disparità di trattamento, con correlato pagamento, e, in via subordinata, la condanna al risarcimento dei danni per la mancata attuazione della Direttiva UE 93/16. Preliminarmente, il Supremo Consesso osserva come la sentenza di primo grado abbia ritenuto sussistente la legittimazione passiva dell’Università degli Studi di Messina, scrive su Labor l'avvocato Giuseppe Maria Marsico

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Tale ricostruzione ermeneutica, secondo la Suprema Corte, si pone in contrasto con la giurisprudenza maggioritaria di legittimità (Cass., Sez. L, n. 18710 del 23 settembre 2016), secondo cui, in tema di borse di studio per i medici specializzandi, e relativi meccanismi di rivalutazione automatica, sussisterebbe carenza di legittimazione passiva in senso sostanziale dell’Università degli Studi; quest’ultima – secondo tale indirizzo – provvede, sulla base di un decreto interministeriale del M.E.F. e del M.U.R., alla mera corresponsione materiale della somma, senza che le possa essere imputato alcun comportamento  inerte  in  tema  di  violazione  degli  obblighi  di attuazione e recepimento delle direttive comunitarie in materia

Sul piano processuale, nella specie, i giudici di legittimità evidenziano come il Tribunale di Messina abbia già statuito espressamente in ordine alla legittimazione passiva dell’Università degli Studi di Messina e che la relativa pronuncia non sia stata oggetto di appello. Pertanto, il ricorso viene deciso prescindendo dal difetto di legittimazione passiva dell’Università degli Studi di Messina, essendo tale questione stata già esaminata e cristallizzata quale decisum.

I ricorrenti, nel caso di specie,commenta Marsico, lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 c.c., in quanto la Corte territoriale avrebbe errato nel considerare il credito da loro azionato, concernente la rivalutazione annuale e la rideterminazione triennale dell’importo della borsa di studio loro spettante ex art. 6 della legge n. 257 del 1991, soggetto a prescrizione quinquennale e non decennale.

I giudici evidenziano come l’art. 2948, n. 4, c.c. sia applicabile solo con riferimento alle prestazioni pecuniarie liquide, intendendosi, per tali, le somme messe a disposizione dell’avente diritto e non riscosse; secondo la Corte non riguarderebbe, invece, gli importi non versati, tra cu i quelli inerenti alla rivalutazione del credito, in caso di pagamenti solo parzialmente satisfattivi della pretesa creditoria, per i quali troverebbe spazio, per converso, la prescrizione decennale (Mazzotta, Prescrizione dei crediti di lavoro e stabilità: un dibattito antico, in Labor, 13 2022, n. 2, 141 e ss.; De Luca Tamajo, Il regime della decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori, ivi, 2022, n. 2, 153 e s.).

La Corte ribadisce, in tale prospettiva, un principio spesso enunciato in materia di pensioni, ma di portata ben più generale, come si evince dalla giurisprudenza.Sulla scorta di una ricostruzione maggioritaria, l’art. 2948, n. 4, c.c., che assoggetta al termine prescrizionale di cinque anni le prestazioni periodiche con scadenza ad un anno, ovvero in termini inferiori, presuppone (non diversamente dall’art. 129, comma 1, del R.D.L. n. 1827 del 1935 in tema di prescrizione per le rate di pensione o di indennità non riscossa con decorrenza dalla loro scadenza) la liquidità e la esigibilità del credito. In altri termini, secondo gli un orientamento giurisprudenziale, occorre che questo, una volta scaduto, sia stato messo a disposizione del creditore con rituale provvedimento, in modo che il beneficiario possa riscuoterlo; laddove, ai fini sia dell’una sia dell’altra norma, non è sufficiente la mera idoneità del credito ad essere determinato, ancorché prontamente, nel suo ammontare; pertanto, con riguardo ai ratei di pensione ed indennità la cui debenza sia contestata nella esatta entità, con riferimento alla sua determinazione in base a parametri comparativi, non si applica la prescrizione quinquennale di cui alle norme sopra indicate in difetto di specifico provvedimento della P.A. debitrice, ma l’ordinaria prescrizione decennale, quale prescrizione concernente la prestazione da effettuare nella sua globalità ed interezza, di cui i ratei non liquida e non esigibili rappresentano una frazione ancora non individuata né messa a disposizione.

In definitiva, non può essere soggetto a prescrizione quinquennale, ai sensi dell’art. 2948, n. 4, c.c., l’importo in denaro che non sia stato quantificato e, soprattutto, che sia contestato nella sua misura dalla controparte. Nella specie, la rideterminazione triennale delle borse di studio non è liquida ed esigibile, in quanto essa dipende da un provvedimento della P.A.  che non risulta essere stato emesso.  Di notevole pregio è l’argomentazione della Suprema Corte funzionale a confermare per la natura decennale della prescrizione. In particolare, si evidenzia che gli importi in esame sono dovuti in base ai vincoli derivanti dall’appartenenza all’UE e in attuazione di Direttive dell’Unione Europea medesima. La loro mancata quantificazione e messa a disposizione da parte della P.A., quindi, costituisce una forma di inadempimento indiretto degli obblighi gravanti sul nostro paese in ragione della sua adesione all’Unione europea.

Si osserva, peraltro, scrive Marsico, che la pretesa del singolo di ottenere il risarcimento del danno subito per la mancata attuazione di una direttiva comunitaria si ricollega alla violazione degli originari artt. 5 e 189 del TCE, i quali prevedevano l’obbligo degli Stati membri di adottare non solo tutte le misure di carattere generale, ma, altresì, quelle particolari atte ad assicura re l’esecuzione dei doveri imposti dal diritto euro – unionale: si ha riguardo, in particolare, agli articoli. 4, par. 3, TUE, 291 TFUE e 288 TFUE.

Nella puntuale disamina dei giudici, si chiarisce come la giurisprudenza abbia chiarito che, in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, si ha riguardo alle Direttive n. 75/36 2/CEE e n. 8 2/7 6/CEE, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi), sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto  allo  schema  della  responsabilità  per  inadempimento dell’obbligazione  ex  lege  dello  Stato,  di  natura  meramente indennitaria.

Tale responsabilità deve annoverarsi tra i comportamenti omissivi dello Stato; essa deriva dall’antigiuridicità anche sul piano dell’ordinamento interno; essa può essere ricondotta nell’ambito della ripartizione indicata dall’art. 1173 c.c. e nella figura della responsabilità contrattuale, in quanto nascente non dal fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c., bensì dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, sicché il diritto al risarcimento del relativo danno è soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione.

La Corte aggiunge che il mancato adempimento degli obblighi di quantificazione delle somme dovute in attuazione del diritto UE non può non essere assoggettato alla stessa prescrizione decennale. Neppure, secondo i giudici, potrebbe – in tale prospettiva – identificarsi una similitudine con i crediti retributivi dei pubblici impiegati, per i quali opera la prescrizione quinquennale.

Infatti, l’attività svolta dai medici iscritti alle scuole di specializzazione universitarie non è inquadrabile nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato o di quello autonomo, perché non può essere ravvisata una relazione sinallagmatica di scambio tra tale attività e la remunerazione prevista dalla legge a favore degli specializzandi in quanto questi emolumenti sono destinati a sopperire alle esigenze materiali per l’impegno a tempo pieno degli interessati nell’attività rivolta alla loro formazione; tali emolumenti non costituiscono, quindi, il corrispettivo delle prestazioni svolte, le quali non sono rivolte ad un vantaggio per l’Università, ma alla formazione teorica e pratica degli stessi specializzandi e al conseguimento, a fine corso, di un titolo abilitante (Cass., Sez. Lav., n. 18670 del 27 luglio 2017; Cass., Sez. L, n. 27481 del 19 novembre 2008).

Sulla base del predetto iter motivazionale, pertanto, secondo la Suprema Corte il termine di prescrizione del credito de quo è decennale (Branca, Lavoro, Prescrizione e giurisprudenza costituzionale, in Riv. giur. lav., 1974, p.253 ss. 28; Ghera, La prescrizione dei diritti del lavoratore e la giurisprudenza creativa della Corte Costituzionale, in Riv. it. dir. lav., 2008, I, 4).

La sentenza impugnata è cassata, con riferimento al ricorso principale, con rinvio alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione.

In conclusione, la Suprema Corte statuisce il principio per cui il credito concernente la rivalutazione annuale e la rideterminazione triennale dell’importo della borsa di studio, spettante ai medici specializzandi, ex art. 6 della legge n. 257 del 1991, è soggetto a prescrizione decennale e non quinquennale, considerato che tale credito non è né liquido né esigibile; si statuisce, inoltre, che la mancata quantificazione, messa a disposizione e corresponsione delle relative somme da parte della P.A. costituisce una forma di inadempimento indiretto degli obblighi gravanti sul nostro paese in ragione della sua adesione all’Unione europea e che l’importo pagato non è assimilabile alla retribuzione dei pubblici impiegati, non rappresentando un corrispettivo dell’attività dei detti medici.

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